Il 2020 è stato, senza ombra di dubbio, l’anno del rosé, quanto meno per il debutto del Prosecco Rosé Doc. Vino nato non fra poche polemiche, seppur con il plauso del ministero delle Politiche Agricole.
Cerchiamo di capire perché.
Ancor prima del via libera della Commissione Europea alla modifiche al disciplinare, il dibattito sul Prosecco Rosé era già infiammato. Le polemiche maggiori arrivavano proprio dal Veneto, dove gli agricoltori vedono sviliti territorio e storia con l’introduzione di un vino non più proveniente da vitigni autoctoni, ma dall’Internazionale Pinot Nero.
Alcuni l’hanno tacciata come pura operazioni di Marketing, ma per altri si è trattato di regolamentare un mercato già esistente, quello del Prosecco Rosé, innalzandone la qualità inserendolo in un disciplinare.
Per capire meglio dobbiamo entrare nel merito delle modifiche introdotte al disciplinare di produzione.
Di seguito alcune delle richieste accolta dall’Unione Europea:
1. Prosecco DOP — Spumante rosé — nella categoria VS e VSQ
È inserita la tipologia spumante rosé al fine di introdurre nella denominazione una produzione di spumante ottenuto da vitigni Glera B. e Pinot nero vinificato in rosso.
2. Prosecco DOP — Spumante rosé — Base ampelografica
La tipologia spumante rosé prevede la seguente composizione di varietà di viti: Glera B. minimo 85 %, massimo 90 %; Pinot nero vinificato in rosso minimo 10 %, massimo 15 %. Detta composizione permette di ottenere la colorazione «rosé».
3. Prosecco DOP — Spumante rosé — Elaborazione
La tipologia deve essere prodotta esclusivamente per fermentazione naturale a mezzo autoclave con un periodo di elaborazione non inferiore a 60 giorni. Tale modalità di produzione consente al lievito … (omissis), inoltre conferisce una maggiore complessità olfattiva e gustativa.
4. Prosecco DOP— Spumante rosé — Etichettatura termine millesimato
Nell’etichettatura di tale tipologia è obbligatorio indicare il termine millesimato, seguito dall’anno di produzione delle uve in conformità all’articolo 49, comma 1 del regolamento delegato (UE) 2019/33della Commissione.
Come notiamo la modifiche più rilevante riguarda proprio i vitigni ammessi.
È evidente che quel 10%-15% di uve Pinot Nero può non sembrare determinante, ma in realtà, come dichiarato dallo stesso disciplinare, va a modificare l’aspetto organolettico del vino, che non apparirà più al palato dei consumatori con i soli e delicati sentori di mela verde, ma con un profilo olfattivo più complesso.

Allo stesso tempo non si placa la polemica sulla scelta del vitigno, che poteva ricadere sull’autoctono Raboso, in modo da salvaguardare e promuovere un altro prodotto del territorio.
Ma, a discapito dei sacrifici sull’altare della degustazione e della tradizione, interviene nuovamente il Ministero delle Politiche Agricole, con i numeri:
“Parliamo di un esercito di 11.460 viticoltori, 1.192 aziende vinificatrici, 347 case spumantistiche che concorrono al successo senza eguali di una denominazione tutta made in Italy, diventata emblema e indiscussa bandiera nel mondo. L’accoglimento della nostra richiesta sarà traino per l’intero sistema vitivinicolo nazionale che a causa della pandemia ha registrato una contrazione del valore delle vendite all’estero dopo il record fatto segnare lo scorso anno con oltre 6 mld di euro… (omissis)”.

Stabilire dove stia la ragione non è lo scopo del nostro intervento. I tempi cambiano e anche le mode. I vini rosati in Italia sono sempre stati offuscati dai grandi rossi o dai bianchi più famosi. Oggi, grazie alle nuove tendenze che vogliono vini freschi e beverini, trovano finalmente una loro collocazione fra i vini di qualità. Questo perché i vini più freschi, con bona acidità e meno struttura, si abbinano facilmente a più piatti, oltre ad essere ottimi con l’aperitivo o in una feste fra amici.

Noi della Cantina le Baite, fedeli come siamo alle tradizioni e al territorio, sicuramente in controtendenza con gli altri produttori, abbiamo deciso di accogliere “le richieste” dei consumatori, e abbiamo proposto un vino rosé proprio di uva Raboso. Lo scopo rimane quello di soddisfare le nuove tendenze di mercato, com’è giusto che sia, ma anche di salvaguardare un territorio da sempre vocato a questo vitigno. Qui il terreno argilloso-calcareo di origine alluvionale ci regala una bollicina Charmat fine e persistente. I sentori di fiori e di frutti, di mora e di marasca, garantiscono un buon bouquet olfattivo.

A questo punto vi invitiamo a provare il Prosecco Doc Rosé, poi però, venite a trovarci.